Onorevoli Colleghi! - In base a quanto disposto da una legge fondamentale dello Stato italiano, la legge n. 241 del 1990, la pubblica amministrazione ha il dovere di essere efficiente, imparziale e «trasparente». Trasparenza vuol dire che il cittadino-contribuente ha il diritto di conoscere quali sono le procedure attraverso le quali l'amministrazione agisce, quali sono i documenti che essa considera e soprattutto quali sono i tempi in cui i suoi procedimenti devono concludersi e chi ne risponde. La pubblica amministrazione ha il dovere, quindi, di applicare la legge correttamente e in modo imparziale.
      Quando l'amministrazione verifica di aver commesso un errore, danneggiando ingiustificamente il cittadino-contribuente, può annullare il proprio operato e correggere l'errore senza necessità di una decisione del giudice. Questo potere di auto-correzione si chiama «autotutela» e nel campo fiscale è disciplinato dal decreto-legge n.564 del 1994, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 656 del 1994, e dal regolamento di cui al decreto del Ministro delle finanze n. 37 del 1997.
      Accade sovente che il cittadino-contribuente consideri «palese» l'errore dell'amministrazione in relazione a un determinato atto e presenti l'istanza di annullamento lasciando decorrere i termini per instaurare il contenzioso di cui al decreto legislativo n. 546 del 1992. Decorsi tali termini, l'Amministrazione finanziaria gli

 

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oppone un diniego o non risponde all'istanza, lasciando al cittadino-contribuente un'unica strada: pagare, presentare istanza di rimborso e ricorrere contro il silenzio-rifiuto.
      Allo stato attuale, dunque, la legge sull'autotutela non appare equa per il cittadino-contribuente che vuol evitare inutili e lunghi contenziosi con l'erario e che al tempo stesso si vede precludere la tutela dei suoi diritti nelle sedi appropriate.
      Con la presente proposta di legge, composta da un solo articolo, si prevede che il cittadino-contribuente, presentando l'istanza di annullamento per autotutela, sospende i termini per la proposizione di un eventuale ricorso giurisdizionale. Resta fermo il principio per il quale l'Amministrazione finanziaria non ha l'obbligo di rispondere e che, decorsi quattro mesi dalla proposizione dell'istanza, in caso di mancato accoglimento, ricominceranno a decorrere i termini per l'impugnazione. L'eventuale silenzio-rifiuto non viene fatto rientrare nei casi di impugnabilità previsti dall'articolo 19, comma 1, lettera h), del decreto legislativo n. 546 del 1992.
 

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